Preistoria
L’ascia piatta in rame
Con l’Età del Rame (in Europa a partire dal 3400 a.C.), periodo in cui iniziano a manifestarsi i primi squilibri sociali nelle comunità preistoriche, appaiono le asce in rame.
Questi oggetti erano prodotti attraverso fusione dentro una matrice (uno stampo in pietra aperto). Sulla base delle evidenze archeologiche, è verosimile che queste asce fossero impiegate vive come oggetti simbolo di ricchezza e di ostentazione sociale: uno status symbol, insomma!
Ne è un esempio l’ascia piatta in lega di rame proveniente dall’area di Capo di Monte sulle colline di Montebelluna, realizzata per fusione e martellatura per la rifinitura della parte tagliente.
Come per le altre due asce rinvenute nella stessa area, è probabile che si trattasse di veri e propri strumenti funzionali e non piuttosto di “lingotti” destinati a scambi commerciali o al fine di accumulare ricchezze.
Il vaso neolitico decorato a graffito
Di fronte ai grandi cambiamenti economici e produttivi che caratterizzano il Neolitico (in Europa a partire dal 6000 a.C.), emergono diverse tradizioni ceramiche; fra queste vi è quella della cosiddetta “Cultura dei vasi a bocca quadrata” di cui fa parte il vasellame rinvenuto nell’area di Cornuda valle – San Lorenzo.
Appartenente al tardo Neolitico (4000 a.C.) ,tale ceramica presenta il più delle volte decorazioni incise o impresse e la classica imboccatura quadrata anche se non mancavano recipienti dall’imboccatura circolare. Proprio dall’abitato neolitico di Cornuda-San Lorenzo giunge un vaso dalle superfici nero-lucide con decorazione a graffito, forse riconducibile a rituali di consumo di bevande fermentate.
Numerosi sono gli strumenti in selce che accompagnavano le ceramiche, fra cui le punte di freccia e altri strumenti di uso quotidiano.
I resti faunistici erano costituiti da ossa di animali domestici(bue, maiali, pecore) e selvatici (cervo,…); la presenza di questi ultimi indicavano un uso stagionale del sito come base di caccia.
Protostoria
La situla figurata dei veneti antichi
Alla maniera di una vecchia pellicola cinematografica, la situla di Montebelluna restituisce uno spaccato della vita di 2500 anni fa.
Questo “secchio” in bronzo, inizialmente utilizzato per contenere bevande e poi riutilizzato in un contesto funebre, più precisamente nella tomba 244 di Posmon, si inserisce nel filone della cosiddetta “arte delle situle”,una forma di artigianato artistico in voga tra i Veneti antichi.
La Situla di Montebelluna riporta su tre fasce (o registri) diversi episodi legati alle abitudini di rituali di ricchi signori; si alternano perciò momenti di caccia al cervo, occasioni di svago, parate militari e persino scene d’amore coniugale.
Insomma, una sorta di film ambientato nella Montebelluna del V sec. a.C. quando essa svolgeva una funzione di cerniera commerciale fra la zona alpina e la valle del Piave di cui beneficiarono i nobili protagonisti delle scene riportate sul manufatto.
L’ampliarsi delle ossa cremate trovate nella situla indica la presenza di un individuo maschile.
Il pendente a figura alata
Cosa ci fa un angelo alato fra i Veneti antichi?
E’ quello che ci si chiede osservando il corredo della tomba n.138, nell’area della necropoli di Posmon, l’unica ad aver restituito sino ad ora una rappresentazione forse di una divinità: il pendente con figura umana alata.
Questo oggetto in bronzo riporta un’immagine diffusa già in alcuni contesti di Este: una figura a corpo triangolare con braccia (o ali) sollevate rivestita da bande incrociate lungo il petto e gli arti stessi.
È probabile che si trattasse di una rappresentazione sacrale associata alla sepoltura di una giovane ragazza del V sec. a.C., considerando soprattutto le ridotte dimensioni degli oggetti di corredo.
Il coltello della sfinge
A Posmon l’area di necropoli più importante di Montebelluna grazie alle sue centinaia di tombe riferibili al periodo fra VII e il II sec. a.C.
Molte di queste sepolture sono ad incinerazione, con i resti del defunto inseriti all’interno di vasi ossuari; il tutto era poi contenuto in cassette di pietra o di legno o in semplici fosse.
Un caso interessante è quello della tomba 118, in cui si possono trovare sepolture di 2 individui distinti caratterizzato da un numero notevole di oggetti di pregio, fra i quali spicca un grande coltello.
Quest’ultimo, un’arma distintiva della nobiltà veneta, con lama in ferro e manico in bronzo, è inserito nel suo fodero. Questo è decorato con una interessante figura: una sorta di “sfinge”, caratterizzata da un corpo per metà felino e per l’altra metà umano, intenta ad attaccare, con un coltello, un volatile.
Solitamente la presenza di grandi coltelli da “parata” all’interno di sepolture è ricollegabile ad individui adulti di sesso maschile.
L’analisi delle ossa cremate rinvenute all’interno dell’ossuario indica la presenza…
Età romana
Il toro romano di bronzo
Il manufatto, rinvenuto per caso presso il luogo di ritrovamento di una ricca villa romana, doveva appartenere al “corredo” domestico di una ricca abitazione.
Grazie ad alcuni confronti con esemplari simili provenienti da Pompei, si pensa che questa testa di toro in bronzo dovesse esser inserita all’interno di una parete dell’edificio, con una funzione ancora non chiara.
Curiosi alcuni dettagli: la resa del muso è molto accurata, così come lo sono i riccioli sulla fronte, mentre le cavità degli occhi dovevano essere arricchite con materiali differenti quali avorio o argento, al fine di rendere più vivace l’espressione dell’animale.
La scelta del toro sembra collegarsi alla diffusione del culto di Apis-Serapide, divinità egiziano-tolemaica importata a Roma già nel corso del I sec. a.C.. In effetti un elemento caratteristico della rappresentazione di questa divinità sta proprio nel ciuffo di peli a forma di rosetta sulla fronte.
La statua di Artemide
Una figura femminile, con i capelli raccolta in un ciuffo sopra la nuca, indossa una corta veste da cui partono le due braccia oggi perduti: il sinistro, impiegato per stringere una lancia, e il destro, intento ad afferrare la pelle di un animale
Si tratta della famosa Artemide del Montello, una scultura in marmo rinvenuta nel 2004 nei pressi di Biadene, a nord-est di Montebelluna, raffigurante la dea della caccia, Artemide (o Diana) appunto.
Pur essendo divenuta negli ultimi anni simbolo per eccellenza della romanizzazione del territorio, fa ancora un certo scalpore il fatto che una statua di tale pregio possa ritrovarsi in un’area che, in epoca romana, sembrerebbe aver subito un qualche decentramento.
In effetti il marmo impiegato proviene dall’isola greca di Paros, mentre la tecnica di realizzazione (con una fase di lavorazione indipendente per la testa) è riferibile a quella che andava di moda fra gli scultori greci; insomma, un prodotto di grande pregio importato da terre lontane e raffinate.
Per questo motivo è probabile che la statua dovesse essere collocata all’interno di una residenza aristocratica sul Montello, verosimilmente in quei tempietti privati che prendono il nome di sacraria.
Il balsamario a bande dorate
Evidente testimonianza dei legami commerciali con il territorio di Aquileia attraverso la via Postumia, il raffinato Balsamario (un piccolo contenitore per unguenti) in vetro mosaico rinvenuto a Posmon (tomba n.100) dimostra l’elevato livello raggiunto dalle produzione vetraria in età romana. La sua presenza nel corredo funerario indica la ricchezza del defunto che poteva permettersi un ogetto di tale pregio. Accompagnato da altri manufatti in vetro e vari oggetti funzionali al banchetto funebre, tutti databili ad un periodo a cavallo fra I sec. a.C. e I sec. d.C, il balsamario era destinato alla conservazione di oli ed essenze all’interno di una tomba ad incinerazione con un vaso impiegata come ossuario.
Lamina in bronzo
Proveniente dalla tomba n.333, la lamina in bronzo riporta una dedica ad un magistrato romano, tale Lucio Orazio Longo, verosimilmente un antenato della donna a cui è destinata questa sepoltura.